14 febbraio 2011

“Sì, sono puttana, ma quante signore mi rubano il mestiere!”

Il sesso, insieme con la prostituzione (la sua applicazione commerciale) e il matrimonio (il suo lato ipocrita e istituzionale), muove da sempre le ruote del Mondo. Sia con uomini ricchi che poveri, sia con donne belle che brutte. Perché, come dice un proverbio contadino (e ai contadini non potete chiedere finezza), “tira più un pelo di fica che un carro di buoi”.
Recenti cronache dal Palazzo, riportano in auge l’antica supremazia di Eva sul povero Adamo, in quanto detentrice monopolistica d’un bene economico scarso: la fica. E il potente di turno, anche a volerlo (ma non lo vuole), non potrebbe neanche difendersi eccependo: “Vostro Onore, si sa, la carne è debole, fu lei a provocarmi…”
Eppure, gira e rigira è sempre la solita merce, cambia solo l’entità della retribuzione. Che però, noterebbe un economista, è congegnata curiosamente non come prezzo di mercato, ma come una specie di tassa. Colpisce, infatti, con maggior durezza impositiva i ricchi e i potenti, mentre è dolce coi poveri. La prostituta d’alto bordo (“escort”), può chiedere ad un Capo di Governo anche centinaia di migliaia di euro, mentre se la medesima battesse nei vicoli maleodoranti d’un angiporto, malgrado la biancheria firmata, racimolerebbe a malapena pochi euro. Solo 3 giuli, infatti, chiede la simpatica e umanissima “puttana sincera” così efficacemente descritta di G.G.Belli. Compresa l’assicurazione “religiosa” dalle malattie, da cui si diceva esente grazie ad un lumino acceso alla Madonna. Altri tempi: altro “scortico” (puttaneria), altre escort:
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LA PUTTANA SINCERA
Io pulenta? Ma llei me maravijjo!
Io sò ppulita com’un armellino.
Guardi cquà sta camiscia ch’è de lino
si ppe bbianchezza nun svergogna un gijjo!
Da sí cche cquarc’uscello io me lo pijjo
io nun ho avuto mai sto contentino,
perché accenno ogni sabbito er lumino
avanti a la Madon-der-bon-conzijjo.
Senta, nun fò ppe ddillo, ma un testone
lei nu l’impiega male, nu l’impiega,
e ppò rringrazzià Ccristo in ginocchione.
Lei sta cosa che cqui nun me la nega,
che invesce de bbuttalli a ttordinone
tre ggiuli è mmejj’assai si sse li frega.
28 gennaio 1832
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Versione. La puttana sincera. Io non ho la gonorrea, mi meraviglio di lei: sono pulita come un ermellino. Guardi questa camicia, che è di lino, se per biancore non fa vergognare un giglio. Da quando piglio qualche uccello, non ho mai avuto questo regalo, perché accendo ogni sabato un lumino alla Madonna del Buon Consiglio. Senta, non fo per dirle, ma un testone [moneta di tre paoli] lei non l’impiega male davvero, e può ringraziare Cristo in ginocchio. Lei non mi può negare che invece di buttarli a Tor di Nona [un teatro dove si davano cattive opere], tre giuli è molto meglio se se li frega [gioco di parole per: li usa per fregare, cioè scopare].
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Fatto sta, che anche nei Governi, non solo nei racconti polizieschi, vale il detto “cherchez la femme”. Lontani i tempi (acrobatici) in cui da sotto una scrivania una stagista lavorando efficacemente di labbra quasi fece dimettere e porre sotto accusa di impeachment un Presidente degli Stati Uniti d’America, oggi nella più tradizionale Italia alle benefiche “escort” da beneficare lautamente si chiede anche di saper ballare discinte, sia pure il bunga-bunga.
Senonché, il presidente americano, venendo da una rigorosa morale protestante, finì sotto processo non per aver fatto sesso (come il rigore degli Antichi avrebbe voluto), ma solo per essersi ostinato a negarlo (ipocrisia dei Moderni).
Ma quelle erano sottili distinzioni etiche degne d’un grande Paese liberale. Da noi, invece, la rozzezza del Potere non si nutre né di filosofia politica né di Bibbia (del Libro, semmai, prende quando fa comodo la parte peggiore, quella del Nuovo Testamente, laddove si parla d’una certa Maddalena, presunta amante poco di buono del leader Joshua il Nazareo, cioè il rivoltoso…), ma si limita a negare l’evidenza, a mentire spudoratamente, certo della comprensione corriva e dell’assoluzione d’un Grande Paese Cattolico, cioè peccatore.
Però, al dunque, nell’Occidente cristiano le due anime, protestante e cattolica, si riuniscono nella scandalosa prassi che si riassume nel motto di comodo: puoi fare quello che vuoi, basta che poi lo confessi e ti dichiari pentito. In pubblico (Paesi anglosassoni e protestanti) o nel segreto del confessionale (Paesi latini e cattolici). In entrambi i casi, un po' peggio nel secondo, è la morale di Pulcinella.
Ma nel sonetto del Belli neanche il giudice del severissimo Vicario della Roma papalina, supremo censore, riesce a far ammettere ad una donna che fa “il mestiere” di essere una puttana. Quella ha più parlantina e dialettica di lui, e nega l'evidenza, però contraddicendosi. E, sicura di sé, finisce l’autodifesa con una comica contraddizione: lo invita addirittura a casa sua, perché provi se è vero che è ormai così virtuosa da avercela "quasi richiusa”, insomma come quando era vergine. Una faccia tosta irresistibile:
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ER GIUDISCE DER VICARIATO
Senta, sor avocato, io nun zò mmicca
da nun intenne cuer che llei bbarbotta.
Lei me vò ffà sputà ch’io sò mmignotta:
ma sta zeppa che cquà nun me la ficca.
La verità la dico cruda e ccotta,
ma cquesta nu la sgozzo si mm’impicca.
S’io me fesce sfasscià ffu pe una picca,
pe ffà vvedé cche nu l’avevo rotta.
D’allor’impoi sta porta mia nun usa
d’oprisse a ccazzi: e ssi llei vò pprovalla,
sentirà cche mme s’è gguasi arichiusa.
...Bbè, rrestamo accusí: su un’ora calla
lei me vienghi a bbussà co cquarche scusa,
e vvederemo poi d’accommodalla.
26 gennaio 1832
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Versione. Il giudice del Vicariato. Senta, signor avvocato, io non sono stupida da non capire quel che lei borbotta. Lei mi vuole far sputare che io sono mignotta, ma questo tranello lei non me lo gioca. La verità la dico cruda e cotta, ma questa non la tiro fuori neanche se m’impicca. Se io mi feci sverginare fu per ripicca, per far vedere che non ce l’avevo rotta. Ma da allora in poi questa porta non ha l’abitudine di apirsi ai cazzi: e se lei vuole provarla sentirà che mi si è quasi richiusa. Va bene, restiamo d’accordo così: verso un’ora calda [nel pomeriggio] lei venga a bussarmi con qualche scusa, e vedremo poi di accontentarla.
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Proprio come la puttana interrogata dal giudice del Vicariato, con la stessa improntitudine, i nostri politici non confessano mai, ma si affidano a “Santa Nega”, come dice il Belli, cioè dicono no su tutta la linea, negando anche l’evidenza. Che dire, infatti, d’una ministra accusata dalla vox populi e da intercettazioni illegali di aver guadagnato la carica per la sua abilità, diciamo così, oro-genitale, cioè di aver praticato quella che i preti maliziosi e causidici hanno classificato in latino come fellatio in ore (vulgo: "pompino") ad un Capo del Governo? E potremmo continuare in un lunghissimo, interminabile elenco, dalla A della prima Ava (Eva) alla Z dell’ultima Zhara della Terra.
E la Chiesa, così severa su cose “di pensiero”, che dice di questo peccato così materiale, “di carne”, come quello di una prostituta e del suo cliente? Poco o nulla, è di manica larga, al solito. Il sesso non generativo e non matrimoniale è catalogato tra i “peccati minori”. E ci sembra logico, dal loro punto di vista. Anche perché il cristianesimo, o peggio il cattolicesimo, non è dei virtuosi, dei buoni, degli onesti, degli asceti – ripete un mio amico prete che la sa lunga – ma è la comoda e consolatoria religione dei peccatori, dei cattivi, dei corrotti, dei lascivi. E così, grata di questa benevolenza inaspettata da parte del Divino, una puttana lercia come poche (v. il famoso sonetto belliano "Santaccia di piazza Montanara"), offre sotto forma di pia beneficienza, “in zuffraggio di quell’anime sante benedette”, non so più quale parte del corpo ad un povero ragazzo senza il becco d’un quattrino che sta in disparte a guardarla. O generosità delle prostitute d'un tempo! Altro che quelle avide di oggi, che per un semplice pompino o un balletto da niente, se sei per sventura Capo di Governo, sono capaci di chiederti anche 500 mila euro. Che tempi!
Dignità e umanità nella figura della zoccola di ieri (contrapposta alla escort di oggi) che traspare anche da un altro bel sonetto belliano, quasi femminista, tutto scritto “dalla parte di una mignotta”, che non nega nulla della sua professione, anzi tiene a ricordare che si è fatta da sé e non deve nulla a nessuno, e si permette alla fine una frecciata moralistica, lei puttana, contro le “dame”, le “signore per bene” dell’aristocrazia o le mogli dei professionisti, che consapevoli di quanto rende la puttaneria, ben nascoste nei salotti eleganti e nei talami a baldacchino, la danno a tutti, proprio come fa lei, facendole una concorrenza sleale.
La satira contro le donne, del resto è ricca di accuse velenose. Ma le stesse donne, specie le femministe, hanno più volte preso le distanze (anche ieri, alla grande adunata delle donne a piazza del Popolo, a Roma, che verteva proprio su questo tema) dalle solite segretarie, stagiste, hostess, massaggiatrici, ma perfino docenti universitarie, giornaliste, attrici, deputate e presidentesse di enti e società, che vanno avanti nella vita grazie al sesso. Per colpa degli uomini, che non antepongono certo il merito. E non parliamo dei matrimoni di convenienza, così antichi che sono all’origine stessa del matrimonio. Quando mai una donna - ribattono gli uomini - non mette nel conto delle nozze anche professione, soldi e conto in banca del futuro marito? Come credete che molte signore si “innamorino”, facciano carriera, conquistino fidanzati, amanti, soldi, agguantino mariti (spesso vecchi), raggiungano status sociale, mettano le mani su cospicue eredità – direbbe la moralissima puttana del Belli – se non vendendo furbescamente pezzo a pezzo, cioè a più caro prezzo di lei, il proprio corpo?
Ma certo. Anzi, è la vita stessa una puttaneria (uno "scortico"), e per tutti, donne e uomini. Che altro fa, in fondo, un impiegato, un manager, un pubblicitario, un politico, un professore o un giornalista, se non vendere pro quota il proprio cervello? E non è più grave, addirittura, vendere la propria intelligenza che un organo sessuale?
E se così va il mondo, allora, a conti fatti, che differenza pratica c’è tra una prostituta professionista e una donna qualunque? Nessuna o quasi. Chi disse che il matrimonio stesso è la forma più antica e istituzionalizzata di prostituzione? Il che porterebbe a due conseguenze: stimare un po’ di più la prostituta e un po’ meno la “signora per bene”.
E se così è, se dunque per il maschilista nascosto nell’uomo di ogni tempo e Paese tutte le donne sono puttane, perché mai una puttana patentata dovrebbe vergognarsi? Anzi, dovrebbe prendersela a morte per la concorrenza illecita che le “donne per bene”, le “dame virtuose”, borghesi, aristocratiche o popolane, le fanno. Senza pagare neanche le tasse e senza neanche farsi prima la dovuta visita medica. Che vergogna!
Come non dare ragione alla buona mignotta del Belli? La sua filosofia, la sua ritrovata “dirittura” morale si rivolta contro il senso comune, ma resta perfettamente dentro il buon senso. L’anticonformismo morale ed esistenziale del Belli si diverte perciò a sorprednere il lettore con un impensato e paradossale ribaltamento di fronte: è la puttana, in qualche modo “moralista”, a mostrarsi orgogliosa e dignitosa nel suo essere e nella sua dichiarata professione, mentre è la donna comune ipocrita, la signora “per bene”, la vera mignotta, senza perdono e senza scuse:

ER COMMERCIO LIBBERO
Bbe’! Ssò pputtana, venno la mi’ pelle:
fo la miggnotta, sí, sto ar cancelletto:
lo pijjo in cuello largo e in cuello stretto:
c’è ggnent’antro da dí? Che ccose bbelle!
Ma cce sò stat’io puro, sor cazzetto,
zitella com’e ttutte le zitelle:
e mmó nun c’è cchi avanzi bajocchelle
su la lana e la pajja der mi’ letto.
Sai de che mme laggn’io? nò dder mestiere,
che ssaría bbell’e bbono, e cquanno bbutta
nun pò ttrovasse ar monno antro piascere.
Ma de ste dame che stanno anniscoste
me laggno, che, vvedenno cuanto frutta
lo scortico, sciarrubbeno le poste.
16 dicembre 1832.
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Versione. Ebbene, sì, sono puttana, vendo il mio corpo, faccio la mignotta [ripetizione, v. l’etimologia nel Vocabolario minimo nel colonnino], sì, sto al cencelletto [le prostitute ricevevano in appartamenti al pianterreno muniti di cancelletto privato, per non far notare il via-vai dei clienti agli altri condomini]: lo prendo davanti e anche dietro. C’è qualcos’altro da dire? Che cose belle! Ma sono stata anch’io, signor babbeo, zitella come tutte le zitelle: ed ora non c’è chi possa rivendicare soldi sulla lana e la paglia del mio letto. Piuttosto, sai di che mi lagno? Non del mestiere, che sarebbe bello e buono, e quando va bene non si può trovare al mondo altro soddisfazione. Ma di tutte queste signore per bene che si nascondono, mi lagno, che vedendo quando frutta il puttaneggiare ci rubano i clienti.
IMMAGINI. Due fotogrammi tratti dal film "Il Marchese del Grillo", ambientato all'inizio dell'800, proprio gli anni della giovinezza e prima maturità del Belli.

1 febbraio 2011

Candelora. Dalla Madonna alla festa degli orsi e dei femminelli

Dimani, s’er Ziggnore sce dà vvita,
vederemo spuntà la Cannelora.
Sora neve, sta bbuggera è ffinita,
c’oramai de l’inverno semo fòra.

(dal sonetto Er tempo bbono)*
La festa religiosa cristiana delle candele, Candelòra o Candelaia, ricorda il rito di purificazione che la Madonna dovette seguire dopo aver dato alla luce Gesù Cristo, in conformità con la legge mosaica. Nel libro della tribu' di Levi, il Levitico, era infatti prescritto che ogni madre, che avesse dato alla luce un figlio maschio, sarebbe stata considerata impura per sette giorni, e che per altri trentatré non avrebbe dovuto partecipare a qualsiasi forma di culto. Il libro e' piu' noto per la sua condanna senza appello della omosessualita': Levitico 18,22 “Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio”, e in 20,13: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro”.
Per una strana legge del contrappasso ai nostri tempi si sta invece consolidando una vocazione della Candelora come festa anche dei "femminelli". Da qualche anno a Montevergine in Irpinia si celebra con una "tammurriata" cui ora e' ammessa a partecipare anche la comunita' degli omosessuali, discriminata a morte piu' di 2000 anni fa.
Ma torniamo alle origini di questa festa di mezzo inverno. Le popolazioni celtiche, a latitudini molto piu' elevate, parliamo degli irlandesi e di altre genti del nord Europa, la interpretavano come il passaggio dal culmine dell'inverno alla discesa verso la primavera. A meta' strada fra il solstizio d'inverno e l'equinozio di primavera. Un primo timido segnale del risveglio della natura.
Nella Roma del Belli, dove ogni festa era legata alla religione e percio' a qualche avvenimento della vita di profeti, santi e divinita', questa connotazione, di tipo astronomico, era stata completamente rimossa, cancellata, come ogni altro riferimento agli antichi rituali pagani.
Presso le popolazioni Celtiche del Nord Italia, e dell’Europa si celebravano festeggiamenti per una ricorrenza chiamata Imbolc (o anche Oimelc) o festa di mezzo inverno,
Il nome Imbolc è di origine irlandese.
La celebrazione di Imbolc iniziava al tramonto del sole, perché secondo il calendario celtico il giorno iniziava appunto dal quel momento. La traduzione del termine e' letteralmente "in grembo" e fa riferimento alla gravidanza delle pecore, cosí come Oimelc sta per "latte ovino", a indicare che in origine si trattava di una festa legata al latte dei greggi dei pastori. E’ in questo periodo, infatti, che nascevano gli agnellini, e di conseguenza le pecore avevano il latte. Era un momento importantissimo, poiché per le societa' dedite alla pastorizia la produzione del latte rappresentava il rinnovarsi di un ciclo vitale.
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Delle tradizioni legate alla Candelora presso le popolazioni alpine ci resta anche "La Festa dell’Orso", tipica delle zone di montagna. Anticamente, nelle zone dell’Arco Alpino, nel giorno di Candelora un montanaro-domatore girava per le piazze dei paesi facendo ballare un orso, simboleggiando il risveglio dal letargo della fiera e di tutta la natura.
Presso i Romani il risveglio dopo il periodo piu' freddo dell'inverno era celebrato con i Lupercalia.
La festività si svolgeva il 15 Febbraio (questo mese era il culmine del periodo invernale nel quale i lupi, affamati, si avvicinavano agli ovili minacciando le greggi) in onore del dio Fauno nella sua accezione di Lupercus cioè protettore del bestiame ovino e caprino dall’attacco dei lupi.
Secondo Ovidio i Lupercalia furono istituiti da Romolo per una grazia ricevuta da Giunone, dea della casa, della famiglia e della fertilità.
Al tempo di re Romolo si verifico' un periodo di sterilità che coinvolse tutte le donne, incapaci di procreare. Per questo Ovidio racconta che la popolazione si reco' al bosco sacro di Giunone, ai piedi dell’ Esquilino. Attraverso lo stormire delle fronde, la divinita' annuncio' che le donne dovevano essere penetrate da un sacro caprone.
Un àugure perspicace interpretò l’oracolo e fu sacrificato un capro. Quindi tagliò dalla sua pelle delle strisce con le quali colpí le terga delle donne e dopo dieci mesi lunari le donne partorirono. In latino le fruste sono "februa", da cui il nome di febbraio, il mese in cui si svolgevano questi rituali.
Nella notte dei tempi passati, la commemorazione del rituale di purificazione di rito ebraico, dal vicino Oriente passò a Roma e già dal VIII secolo d.C. la festa aveva raggiunto grande solennità e partecipazione popolare. A Roma, nel Medioevo, si svolgeva una processione che attraversava mezza citta', partendo da Sant'Adriano, per i fori di Nerva e di Traiano, il colle Esquilino, per raggiungere infine la basilica di Santa Maria Maggiore, dove avveniva il rito della benedizione e distribuzione delle candele. 

Con il cristianesimo, insomma, i tanti caratteristici antichi rituali metainvernali sono stati eliminati e sostituiti dalla ricorrenza della Candelora. Nella Roma dello Stato pontificio si celebrava (e ancora si celebra oggi) questa strana purificazione di origine inconfutabilmente ebraica, dove la Madonna veniva finalmente restituita, dopo 40 giorni, alla societa' tribale degli antichi giudei e il bambinello veniva circonciso e presentato al tempio. Ma in fondo per il popolino dei fedeli del Papa re questa ricorrenza si traduceva nella possibilita' di arraffare una candela, come spiega il Belli nel finale del sonetto:
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ER DUA DE FREBBARO
Uh! cch’edè ttanta folla a la parrocchia?
Perch’entri tutta eh! nunn j’abbasta un’ora.
E in sta cchiesa piú cciuca d’una nocchia
sai cuanti n’hanno da restà de fora!
Senti, senti la porta come scrocchia!
Guarda si ccome er gommito lavora!
Ma pperché ttanta ggente s’infinocchia
drento? Ah è vvero, sí, sí, è la cannelora.
Ecco perché er facchino e ffra Mmicchele
usscirno dar drughiere co una scesta
jeri de moccoletti e dde cannele.
Tra ttanta divozzione e ttanta festa
tu a ste ggente però llevejje er mele
de la cannela, eppoi conta chi rresta.
Roma, 2 febbraio 1833
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Versione. Il due di febbraio. Uh! che cos'e' tanta folla alla parrocchia? Perche' ci entri tutta eh! non basta un'ora. E in questa chiesa piu piccola di una nocciola sai quanti ne debbono restare di fuori! Senti senti come scricchiola la porta! Guarda come lavora il gomito (per cercare di entrare)! Ma perche' tanta gente si ficca dentro? Ah e vero, si, si, e' la candelora. Ecco perche' il facchino e frate Michele uscirono dal droghiere con una cesta di moccoletti e di candele. Tra tanta devozione e tanta festa tu a questa gente pero' leva il dolce (l'utile) della candela, e poi conta chi rimane.
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*Il tempo buono. Domani, se il Signore ci da' vita, vedremo spuntare la Candelora. Signora neve, questa fregatura e' finita (personificazione dell'inverno), che ormai dell'inverno siamo fuori . . .

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IMMAGINI. La festa delle candele ("Candelora") partiva in epoca cristiana dalla consacrazione rituale dei ceri, a cui seguivano di solito processioni, danze popolari e perfino il "ballo dell'orso" (stampa di B. Pinelli, 1809).
 
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